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MOON KNIGHT 7

 

NEGATIVI IN UN INTERNO

 

 

 

 

 

 

Marlene allungò la mano sul mobile della cucina. La stanza era buia e l'unica luce che dava sostanza alle cose proveniva dal corridoio. Tastò il ripiano fino a quando non trovò il porta coltelli.

Le dita si strinsero intorno al manico di uno di questi, lo sfilò cercando di non fare rumore e, una volta preso, lo tenne stretto. Si addossò ancora di più contro il blocco di mogano. L'unico suono che sentiva era quello sottile del suo respiro. Le sembrò di udire dei passi, ma era solo la sua mente che stava giocando con lei. Appoggiò le ginocchia al petto e avvertì la carezza di seta del vestito sulla pelle. Con i ricordi tornò indietro a quando nel suo appartamento aveva deciso di indossare proprio quell'abito.

 

5 ore fa. Appartamento di Marlene Alraune. Manhattan.

 

-Dovrei essere arrabbiata con lui eppure mi sto agghindando come se dovessi andare al gran ballo di corte. Marlene ultimamente sei proprio una donna molto confusa- disse tra se passandosi il rossetto sulle labbra. Alla fine optò per un trucco non pesante, ma che faceva risaltare la sua bellezza.

Solo sforzandosi riusciva a ricordare l'ultimo appuntamento con Marc. Non sapeva se dietro l'invito c'era l'intercessione di Frenchie o se il suo uomo si era finalmente ricordato di esserlo ancora.

Avevano molte cose da dirsi; su di loro e su quello che stava succedendo. Non riusciva ad ammetterlo con se stessa, ma sentire Marc al telefono, nella sua mente, aveva allontanato il lavoro e avvicinato il piacere.

Marlene uscì di casa divisa tra il passato e il futuro con un presente che le stava addosso senza offrire certezze.

E poi per quanto cercasse di dimenticarlo c'era stato quel bacio rubato al poliziotto. Forse anche per questo aveva scelto quel look, per farsi perdonare da Marc anche se lui non sapeva nulla. Gliene avrebbe parlato?  Dopotutto lei e Frank erano appena sfuggiti all'inferno e non c'era modo di frenare le emozioni con la logica.

E se Marc fosse stato più presente non si sarebbe mai ficcata in quel guaio ne avrebbe chiesto aiuto altrove. Nonostante questi pensieri continuava a  sentirsi in bilico tra colpevolezza e innocenza.

Sentimenti contrastanti come la paura di essere finita in un gioco più grande di lei che puzzava di zolfo e la voglia di scoprire chi ci fosse davvero dietro alla fondazione Arcana.

Corse nell'ascensore come se scappasse da tutto quello. Le porte si chiusero e lei sospirò sollevata come si fosse liberata del suo immateriale inseguitore. La cabina iniziò a scendere.

Si sbagliava. Le preoccupazioni erano ancora lì, con lei. Non l'avrebbero abbandonata facilmente. Marlene sapeva che non ci sarebbe stata una soluzione facile ai suoi problemi. Ora più che mai si rendeva conto che da sola non poteva farcela, ma non era più sicura che fosse Marc l'uomo che l'avrebbe potuta aiutare davvero.

 

4 ore fa. Villa Spector. Fuori new York

 

Non c'era il maggiordomo ad accoglierla, ma un sorridente Marc. La fece entrare, accompagnando l'ingresso con un inchino. Portava un completo grigio impreziosito da un papillon nero.

-La giacca signorina?- chiese come se fosse parte della servitù e non il padrone. Tese anche le braccia per ricevere il cappotto. Marlene rimase un po' interdetta. Non si aspettava quel tipo di accoglienza. Stette al gioco passandogli il soprabito.

Marc lo tenne con cura e poi fece strada verso il salone centrale della villa.

-Ho chiamato il miglior chef, cioè il sottoscritto, per far si che le sue papille gustative ne ricavino ogni genere di godimento.- disse con un tono di voce allegro e galante.  

 Aveva immaginato, andando alla villa ogni possibile scenario tranne quello che si stava dipanando davanti a lei. Non sapeva come comportarsi. Aspettò. Non voleva sbriciolare subito il tentativo di Marc di farla stare a suo agio. Stava offrendo ad entrambi un nuovo inizio, era come se non si conoscessero e in effetti non lo aveva mai visto comportarsi così.

Era curiosa, ma anche un po' arrabbiata. Arrabbiata con lui che aveva scelto ancora una volta di nascondersi dietro una maschera. Non era la faccia tranquilla di un tassista o il cappuccio minaccioso di un vigilante, per lei quella notte stava interpretando un ruolo nuovo, quello del fidanzato perfetto che aveva preparato l'appuntamento perfetto.

Seguendolo lungo il corridoio illuminato dai grandi lampadari si chiese se avesse mai davvero conosciuto l'uomo che la precedeva. Solo i loro passi turbavano il silenzio.

Marlene camminava guardandosi intorno e aveva l'impressione di non riconoscere più quella casa. Era tutto in ordine e la luce dorata inondava le sue stanze, ma era solo un'altra maschera che abbelliva la fredda solitudine di Marc.

Per quanto trucco avesse usato, le pareti, le enormi scale sembravano sempre più quelle di un mausoleo, una tomba in cui l'unica vita era quella virtuale di chi l'abitava.  

Spector spalancò davanti a lei le porte del salone in cui avrebbero cenato.

Una tavola antica, coperta da una tovaglia di pizzo si presentò a Marlene.

La luce proveniva dai quattro candelieri. Le braccia lavorate come serpenti tenevano nelle fauci di bronzo piccoli lumi di cera rossa. Spandevano chiazze di luce ed era come se lucciole dispettose volassero nell'aria.

Nel centro c'erano dei vassoi di argento che nascondevano sotto coperchi intarsiati il menù. Era come tuffarsi in una favola. Poteva anche sembrarlo, ma Marlene sentiva che quella notte non avrebbe avuto un lieto fine.

Marc spostò una delle sedie di legno pregiato con lo schienale bombato di raso rosso e la fece sedere. Si portò poi davanti al primo piatto e lasciò che le dita accarezzassero la piccola maniglia del coperchio prima di iniziare a sollevarlo.

-Non sei molto loquace. Posso capirlo. Che ne dici se prima di discutere ceniamo?

-Hai ragione rimaniamo ancora un po' nei personaggi della coppia senza problemi, eternamente innamorata.- voleva essere accondiscendente, ma l'amarezza nelle parole di Marlene non poté sfuggire a Marc. Era stato colpito, ma non lo diede a vedere. Continuò con quella pantomima.

-Bando agli indugi- disse, mentre la luce sembrava sollevare dall'argento i ricami e il volto di Marc, velato dalle candele, era quello di un affascinante principe -iniziamo con un antipasto. Si tratta di una serie di carpacci di pesce e di carne, arrotolati tra di loro, e impreziositi al loro interno da uova di caviale.

-Non sapevo che nel tuo carnet delle identità ci fosse anche quella del cuoco, onestamente non ricordo di averti mai visto vicino ai fornelli.

Marc aveva già preso due involtini e li stava depositando sul piatto della sua donna.

Lei iniziò a tagliarli, mentre Spector si sistemava di fronte  a lei servendosi a sua volta.

-Posso capire quello che stai cercando di fare, ma non è da te. Per quanto tutto ciò sia splendido suona falso. Non sei bravo con queste cose- disse dopo aver pensato a lungo su come iniziare il loro confronto.

Marc rimase in silenzio.

Lei masticò il primo boccone.

-Intendo con la recita, devo ammettere che questi cosi sono buonissimi.

-Continua. So che vuoi dirmi molte cose. Quello che volevo fare era qualcosa di speciale non per cancellare i nostri problemi, ma per far vedere che non tutto tra noi è perduto, sempre che tu la pensi allo stesso modo...- l'interrogativo rimase lì tra loro.

-Io non ho mai pensato diversamente. Sei tu che mi hai allontanata sempre di più. Mi hai dato la vicepresidenza non perché partecipassi al tuo mondo, ma perché tu potessi distaccartene.

-Forse la cosa migliore per noi è prenderci una pausa. Tu sei magnifica, non ti merito e non è il solito discorso di circostanza, è vero. Ultimamente ho scoperto che ci sono troppe zone scure nel mio passato e che se voglio davvero redimermi, se mai sarà possibile farlo, dovrò combattere da solo con i miei fantasmi- mentre parlava rieccheggiava in lui la cacofonica risata del nazista vampiro.

-Drastico. E' sempre stato il tuo modo di risolvere le questioni. Un taglio netto. Io non mollerò così facilmente.- Marlene alzò la voce per caricarsi, ma in cuor suo sentiva che, se fosse uscita da quella casa non vi sarebbe tornata mai più.

Marlene aveva ragione e Marc lo sapeva. L'avrebbe fatta arrabbiare di più, avrebbe tirato lui la corda fino al momento in cui si sarebbe inevitabilmente spezzata? Onestamente non sapeva se avrebbe avuto tutto quel coraggio.

-Il primo volto che ho visto, dopo essere tornato in vita, è stato il tuo. Sai quanto sei importante per me.

-E tu per me. Ti ho salvato la vita perché potessimo averne una insieme. Pensavo che ti fossi lasciato alle spalle il periodo delle ossessioni. Invece ci sei ripiombato. Comincio a credere che sia tu a volerlo. Sei schiavo di Moon Knight perché lo vuoi essere.

Marc le versò del vino rosso e poi riempì il suo bicchiere. Sarebbe stato quello il loro ultimo brindisi?

-A cosa vuoi brindare Marc, alla fine di tutto? Non vuoi ammettere che hai sempre avuto paura di una vita diversa da quella del super eroe solitario? Se hai paura che la tua missione possa mettermi in pericolo, posso assicurarti che le minacce non vengono solo dai super cattivi. Forse non ti piacerà sapere che il nemico, uno subdolo e potente è in seno alla tua società.

Marc la lasciò continuare. Sorseggiò leggermente il vino. Si rendeva conto che dopo quello che si erano detti, anche solo guardarla nei suoi occhi azzurri lo faceva star male. Pensava a quando brillavano dentro i suoi, a quando le sue mani le accarezzavano i capelli dorati.

Quei ricordi dolci divennero subito polvere, spazzata dalla voce secca di Marlene.

-C'è del marcio in Danimarca ossia nel consiglio di amministrazione. Ho indagato per conto mio e quello che ho rimediato è stata una visita poco gradita nel mio appartamento e un mezzo viaggio all'inferno. Se sono ancora qui devo ringraziare il tuo amico poliziotto Frank e una strega di nome Satana.

-Inferno? Satana? Cosa c'entrano con la Spectocorp?- quella discussione allontanava i problemi. Avevano smesso di spararsi a bruciapelo l'uno con l'altra.

Marlene finì il vino e mascherò dietro il tovagliolo un ruttino poco femminile. Le scappò anche un mezzo sorriso. Pensava che i sorrisi, in quelle stanze, appartenessero ormai al passato.

-Non devo bere veloce.- si schermì e poi continuò – Fammi finire, senza interruzioni. A dire il vero non so molto. Ho un nome, quello di un certo Milo Warren. La sua pista mi ha portato alla fondazione Arcana.

Il suono del campanello fece esplodere la bolla di silenzio che si era creata dopo le ultime parole.

Marc si alzò di scatto. Marlene chiese.

-Aspettavi visite?

-No. Ho dato il giorno libero a tutti, Frenchie compreso, per poter stare solo con te.- quelle parole fecero male ad entrambi. Non poteva rimanere un attimo di più lì e colse la scusa del campanello per andare all'ingresso.

Marlene sentì i suoi passi affievolirsi man mano che si allontanava sul lungo corridoio. Riprese il vino quando il rumore di una porta che sbatteva con forza echeggiò fino a lei. Rovesciò un po' di cabernet sulla tovaglia e il bianco ricamato si macchiò di rosso.

-Calma Marlene.

Di nuovo silenzio. Due candele si spensero frustate via da un po' d'aria entrata da una delle grandi finestre della sala. Fuori la luna guardava da lontano specchiandosi nei vetri che arrivavano fino al soffitto.

-Marc!!.- iniziò a chiamarlo, ma non ottenne risposta.

Per tranquillizzarsi allungò la mano verso il secondo vassoio per sbirciarne il contenuto.

-Sei ancora qui. Ho sperato che al mio ritorno non ci fossi più. Stare da solo mi ha fatto riflettere su diverse cose. La prima è che non intendo più prendermi una pausa da te. Tra noi è tutto finito. Scommetto che se torni dal tuo maritino ti riprende per… cosa sarebbe la seconda volta? Sei fortunata che gli stupidi al mondo esistano eccome. Io lo sono stato e non voglio più esserlo.

La voce arrivò dalla porta dove c'era Marc che, con passo deciso tornava verso il tavolo. Non portava più al collo il papillon.

I capelli erano un po' scarmigliati. Strusciò la sedia sul pavimento per sedersi e quando lo fece sbatté con forza il pugno sulla tavola.

-Non dici niente? L'hai presa bene.

Marlene in effetti si stupì di come fosse rimasta calma. Il suo primo pensiero fu che Marc non era in se. Doveva essere successo qualcosa. La conferma la ebbe dalle parole piene di rabbia e sarcasmo che la investirono.

-Prendi le tue cose e lasciami solo. Credo che per festeggiare chiamerò delle puttane. Se ci pensi bene sei come loro, sei stata con me per i miei soldi. L'unica differenza è che non te ne sei mai andata dopo le prestazioni.

 Si accorse della macchia che si era allargata come sangue su una garza. Lui vedeva solo il rosso come avesse divorato il bianco del lino.

-Vedi sei solo capace di combinare guai. Questa volta è solo una tovaglia a rimetterci, di solito sono i miei nervi o la mia azienda che ho stupidamente consegnato nelle tue mani incapaci.

Quello non era il Marc che aveva lasciato il salone e iniziava ad avere paura di lui.

-Marc che diavolo ti prende? Chi era alla porta?

-Qualcuno che mi ha aperto gli occhi. Dovevi lasciarmi morire in quella tomba. Mi hai maledetto Marlene. Moon Knight è colpa tua. Bushman aveva ragione. Dovevo lasciare che ti uccidesse proprio come fece con il tuo dannato padre.

Marlene lo vide protendersi in avanti come volesse saltare oltre il tavolo, addosso a lei.

-Fermo Marc. Non stai ragionando, sembri sotto il controllo di qualcuno.- le parole le si bloccarono in gola vedendo le linee nere che solcavano la mano di Marc. Sembravano serpi scure sotto le fiammelle delle candele. Marc prese il vassoio vuoto e lo scagliò lontano. Poi fece lo stesso con gli altri. Dischi argentei volarono per la stanza scontrando le pareti e il pavimento.

-La mia eredità era quella di Bushman. Lui voleva che continuassi la sua opera. Lo farò da adesso. E per iniziare chiuderò i conti che ha lasciato in sospeso.

-Marc stammi lontano, ti stai comportando come un pazzo.

La bocca di Marc era spalancata in un grido senza voce. I suoi occhi bruciavano di un odio innaturale. Le dita contratte e nere presero uno dei coltelli e avvicinarono la lama al viso.

Marlene era al cospetto di un incubo divenuto realtà.

Marc Spector è sempre stato sull'orlo di un baratro, ma mai era successo che vi fosse caduto dentro. Marlene non era più sicura che quel “mai” tenesse ancora.

Non poteva guardarlo, mentre premeva la punta sul viso. Lo vedeva tracciare linee di sangue lungo la fronte e poi sulle guance. Le congiunse sotto il mento e poi tirò due strisce sopra gli zigomi. Marlene capì il suo intento. Si stava dipingendo dolorosamente un teschio sul viso. Un teschio come quello di Bushman. Era diventato il suo peggior nemico.

-Bushman è tornato e vuole il tuo sangue, vuole tingere la luna di rosso.

Rise e fu allora che Marlene scappò via rovesciando la sedia. 

 

***

 

Frank ha corso spesso nella sua vita, dietro a dei delinquenti o per scappare da loro. Ha iniziato così come poliziotto a pattugliare le strade, i vicoli e a cercare di evitare le pallottole di chi non si arrendeva subito.

I suoi piedi hanno sentito il ferro delle scale antincendio quando vi si arrampicava come un gatto, i mattoni dei tetti raggiunti a quel punto con un certo fiatone e soprattutto l'asfalto della città.

Per la prima volta avvertiva l'abbraccio limaccioso del fango che lo bloccava a terra.

Intorno a lui la giungla di cemento era diventata una palude umida, dove gli alberi formavano inestricabili trame con i loro rami.

Il sole ci passava a stento in mezzo, lasciando sul terreno limaccioso deboli tracce di luce. Non era facile scappare dalla cosa che aveva visto. Forse quell'essere non l'aveva notato. Aveva fatto in tempo a nascondersi dietro l'albero che bagnava le sue radici nell'acqua verdastra?

Continuava a muoversi, anche se ogni passo lo affaticava e adesso gli alberi si erano fatti più fitti e le radici traditrici serpeggiavano ovunque. Inciampò. Uno schizzo di fango gli colpì il viso.

Sputò quello che gli era rimasto in bocca. Le mani, affondando nel limo, avevano impedito una caduta più dolorosa. Da terra poteva sentire la cosa avvicinarsi, quella sensazione si trasmetteva attraverso l'acqua, lungo le cortecce bagnate, era come se la palude fosse quella cosa e viceversa.

Cercò la pistola nella fondina trovandola vuota. Non riusciva a pensare lucidamente ne a ricordare come un appuntamento a New York si fosse tramutato in quell'incubo. Si rialzò e questa volta sbirciò alle sue spalle. La figura contorta che avanzava sembrava un grosso uomo vestito di fango e di alghe.

-L'uomo cosa mi è addosso.

Non poteva più sfuggirgli, ogni passo era più difficile di quelli prima, si muoveva al rallentatore. L'essere lo aveva quasi raggiunto. Non poteva neppure vender cara la pelle. Intorno alla creatura nugoli di mosche e zanzare gli facevano da mantello.

-Si è fermato. Non mi attacca.- pensò Frank Darabont provando ad indietreggiare, ma le radici da terra si sollevarono e lo imprigionarono, mentre la creatura alzava un braccio di fango da cui pendevano liane ammuffite.

Davanti agli occhi del poliziotto si aprì uno squarcio nell'aria simile a quello che aveva visto schiudere da Speed Demon e Satana.

-E' uno dei mostri di Milo Warren. Mi aspetta un altro viaggetto all'inferno e questa volta di sola andata.

I suoi occhi non videro più la realtà della palude, ma nel tempo di un respiro venne aggredito da visioni diverse, vide città che riconobbe solo da alcuni dettagli.

Una torre Eiffel guardava muta la devastazione di Parigi. Una strada d'oro sembrava non finire mai. Il Colosseo non era più nel cuore di Roma, ma fluttuava nel cielo come un pallone aerostatico e dentro gladiatori dalle armature simili a quelle di Iron Man combattevano per la loro vita. Cosa stava vedendo? La sua mente si trovo assediata da quelle informazioni distorte.

E la creatura era lì, di fianco a quella ferita nel tempo e nello spazio, a guardare muta e silente nel calderone dei mondi possibili.

L'ultima immagine che lo colpì fu quella di un Egitto impossibile sotto un cielo del colore delle dune. Non c'erano piramidi, ma costruzioni che assomigliavano ai piatti di una bilancia. Sospese.

Due eserciti avanzavano l'uno con l'altro. Una compagine sollevava delle mezzelune argentee e portava cappucci bianchi, proprio come quello del suo amico Moon Knight, l'altra cavalcava strane bestie e aveva degli scudi con incisa un' eclissi.

Lo stesso simbolo stava sulle loro bandiere e sulle armature. Quando furono vicini e la sabbia sotto gli zoccoli si sollevava furiosa tutto sparì come la sua vista. Ebbe un attimo di buio così fitto che temette di essere diventato cieco.

Lentamente delle macchie, prima piccole poi sempre più grandi riempirono l'oscurità e lui tornò a vedere anche se a brandelli. C'era un bicchiere davanti a lui, una bottiglia, mani dalle unghie perfettamente smaltate. Le sue dita toccavano qualcosa di umido e viscido che gli ricordò la palude.

-Bentornato. Lo so è un po' traumatico vedere con il terzo occhio quando si è abituati a stento a percepire la realtà con due.- il suono prima indistinto divenne limpido e il suo cervello chiarì senza ombra di dubbio che si trattava della voce di Satana.

Da lì gli fu facile ricostruire quanto era accaduto.

Era arrivata puntuale al loro appuntamento. Il ristorante alla fine lo aveva scelto lei. Una volta arrivati sul posto la serata era iniziata in modo piacevole. Lei gli aveva promesso che non avrebbe sbirciato nella sua testa.

La ringraziò. Dopo due portate, qualche sorriso e battuta maliziosa da parte di entrambi, erano arrivati al motivo dell'appuntamento. Satana era stata subito chiara. Frank doveva provare una cosa se voleva veramente capire qual'era il potere di Milo Warren.

Erano bastati due bicchieri e qualche preghiera silenziosa per convincersi che poteva farcela. Si stupì quando gli disse che le sarebbe bastato ordinare delle alghe non condite per fare quello che aveva in mente. Ricordava tutto. Staccò le dita dalla ciotola con le alghe e chiese.

-Cosa diavolo ho visto?

-Il nesso di tutte le realtà. Milo Warren ha trovato un modo per sfruttarlo. Una mappa- continuò sapendo che grazie a quella visione Frank poteva capire davvero la pericolosità del loro avversario- con le coordinate per tutte le versioni possibili del nostro mondo. Come ti ho detto nel mio appartamento non ho la prova di quello che dico. Purtroppo il guardiano del nesso per quanto potente è pur sempre un essere paludoso senza una vera e propria mente e Milo Warren deve aver trovato il modo di mascherare la sua presenza.

-La cosa che ho visto nel mio... non so nemmeno come definire ciò che mi è capitato- si accorse di essersi agitato, di aver alzato la voce. Si guardò intorno per vedere se gli altri clienti l'avessero notato quanto lui.

-Che hai fatto a questa gente?- chiese mentre i suoi occhi spaziavano da un punto all'altro della sala, saltando dalla coppia seduta al tavolo vicino al loro, al cameriere che stava per rientrare in cucina, alla compagnia di giovani che si trovava sotto la grande finestra.

Satana aveva fermato il tempo e solo loro due si muovevano ancora normalmente nel suo flusso.  Era come stare in un museo delle cere.

-Li ho messi sotto ghiaccio. Quando li toglierò dal freezer temporale non si ricorderanno niente, continueranno a fare quello che stavano facendo prima che schioccassi le dita.

-Cosa ho visto? Riparti dall'inizio- domandò calmandosi un poco, cercando però di non guardare quella gente bloccata.

Era tutto così innaturale e la cosa più angosciante era che la donna seduta davanti a lui aveva il potere per rendere la follia reale.

 

***

 

Il rumore di oggetti che venivano distrutti, vasi gettati interra, porte sfondate a colpi di accetta, quadri staccati dalla parete e poi frantumati in terra era interrotto solo dalla risata di Marc che sfruttava l'eco delle grandi stanze per scivolare ovunque.

Marlene sapeva che era sempre più vicino alla cucina e che non sarebbe sfuggita alla sua furia. Poteva essere intontito dal controllo, ma era pur sempre uno degli uomini più pericolosi del mondo. Senza i freni inibitori era senza dubbio anche uno dei più letali.

Quel coltello che aveva con se era una difesa ridicola. Si chiese se avrebbe avuto davvero il coraggio di piantarlo nel corpo della persona che aveva amato di più nella sua vita. Parlava al passato, ma in realtà sperava ancora in un futuro con Marc. A dire il vero per ora si accontentava di avere un futuro e basta.

-Ho solo una speranza. L'accesso più vicino alla base sotterranea dove tiene i costumi e le armi di Moon Knight  è nella sala della scherma. Devo correre come non ho mai corso in vita mia.- disse preparandosi a farlo. Doveva uscire nel corridoio, evitare Mark e puntare dritto alla stanza che si trovava quasi al centro. Non sarebbe stato facile, ma non era nemmeno impossibile. La risata si interruppe mentre stava per muoversi dal suo rifugio.

-Maledizione. Spero non abbia fiutato la mia presenza qui.- tornò a nascondersi e a guardare verso la porta. Fu allora che nel rettangolo entrò la figura di Marc, teneva un' ascia per il manico e la lama strisciava il pavimento.

-Sai Marlene è buffo come uno scopra in certe situazioni quanto assomiglia al fratello con il quale credeva di non avere nulla in comune. So che mi stai ascoltando. Con il caro Randall adesso condivido il desiderio di tagliare la gente con quest'ascia. Lui preferiva accanirsi su povere infermiere, io invece mi divertirò a vedere in quanti pezzi posso farti prima che tu muoia.

Marlene tremò. Quella voce era la sua e quelle parole non venivano da un burattinaio nascosto, ma dalla sua anima più scura. Lo sapeva perché anche lei una volta era impazzita e aveva cercato di ucciderlo. Nel sua caso qualcosa nell'acqua l'aveva spinta verso il baratro della follia, in quello di Marc, era sicura, c'entrava quella roba nera che gli aveva visto sulle mani. Un virus, o qualcosa di peggio? (1)

-Allora vuoi uscire e risparmiarmi la fatica o vuoi continuare a giocare a nascondino. Non mi è mai piaciuto neanche da piccolo, ho sempre preferito il dottore o il gioco della guerra.

Improvvisa la lama dell'ascia affondò sul mobile dietro il quale si riparava la ragazza. Entrò nel legno per qualche cm. Le schegge di mogano caddero sul pavimento. Sentì che Marc aveva difficoltà ad estrarla, evidentemente quella cosa che lo possedeva ne imbrigliava i movimenti e rendeva complessi anche quelli più semplici. Il suo negativo era si più spietato e crudele, ma non era, fortunatamente, più veloce e agile dell'originale.

Aveva un solo modo per potersi prendere dell'altro vantaggio. L'idea non le piaceva per niente, ma doveva farlo. Non lo faceva solo per lei, ma anche per Marc. Anche pensando così le sue dita vacillarono nel momento di afferrare il coltello e piantarlo nel piede di Spector che spuntava. Non gridò, rise di dolore mentre lei sgattaiolava via. La voce frustò l'aria dietro di lei e la sentì come cuoio sulla pelle.

-La morte che volevo riservarti per quanto lenta e dolorosa...- si piegò per togliere la lama dalla scarpa. Il tessuto aveva impedito danni gravi – non è nulla in confronto a quello che ti farò quando ti prenderò.

Uscì dalla cucina tirandosi dietro il piede ferito come farebbe uno zoppo.

-E' aperta...- sospirò Marlene. Entrò nella sala della scherma, sparendo dal corridoio dove sul fondo era comparso Marc.

-Marlene è finita nella tana del bianconiglio.- le parole si persero dentro il passaggio metallico che la ragazza aveva lasciato aperto. Era l'ingresso alla base di Moon Knight. Marc prima di calarsi a sua volta nello scivolo, afferrò da una parete la sciabola che vi era appesa.

-Maledizione.

Marlene doveva aspettarselo che non avrebbe trovato l'armadio d'acciaio con i costumi di Moon Knight aperto.

Forzarlo non sarebbe servito a nulla. Doveva conoscere la password da inserire nel pannello numerico. Vedere quegli spettri bianchi rinforzati in Kevlar e adamantio dentro la teca ultra resistente la fece disperare. La speranza di uscire viva da quella casa era dietro un vetro in lega di vibranio e antiproiettile. A pochi cm da lei, ma senza la possibilità di essere afferrata.

La base sotterranea era un ambiente freddo, spoglio e pulito come un ospedale. Il computer e gli schermi disposti a mosaico ne occupavano una parte. C'era il jett (jet) mezzaluna adagiato su una piattaforma. Cercò protezione dietro l'aereo e fu allora che vide l'area dei bersagli. Vicino una zona con del materiale danneggiato e scartato. Si buttò a rovistare tra quei pezzi sparsi di bastoni, boomerang e parti di costume. In quel momento sentì un tonfo sordo in corrispondenza con l'uscita dello scivolo.

Non gli servì sentire la voce di Marc per sapere che l'aveva raggiunta.

-Sai cosa dicono che si può scappare, ma non nascondersi per sempre.- Marc fece seguire alle sue parole un ricamo violento nell'aria, con la punta della sciabola. La lama vibrava nel vuoto come brandita da uno spadaccino pronto all'affondo e intanto si muoveva, rallentato dal sangue perso e dal dolore verso il jet.

-Bel tentativo, ma disperato.

Marlene faceva di tutto per ignorarlo. Era concentrata sulla sua sopravvivenza. Indossò in fretta quanto aveva selezionato e per ultimo raccolse uno dei bastoni bianchi retrattili di Moon Knight.

Marc sbucò da dietro ai bersagli, tenendosi alle sagome per mantenere l'equilibrio. Ne accarezzò una facendo passare un dito nei fori lasciati dai proiettili.

-Mi è venuta un'idea, Marlene cara. Quando ti prenderò e, lo sai che prima o poi succederà, ti metterò al posto di una di queste.

Marc si trascinò dietro il piede malandato fino al jet. Era sicuro di aver visto l'ombra di Marlene sgattaiolare lì, cercando rifugio tra le sue ali ricurve. Guardava davanti a se e sotto la mezzaluna. Fu il suo errore.

-Puoi non crederci amore, ma farà più male a me che a te.

Marc si girò e puntò lo sguardo in alto. Una figura ammantata dopo una breve rincorsa saltò dall'ala, giù verso di lui. Marc non fece in tempo ad evitare il suo doppio calcio. Mentre lui cadeva   chi lo aveva colpito fece una piroetta all'indietro e planò sulla piattaforma. 

Ancora in terra Marc venne raggiunto dall'ombra incappucciata del suo aggressore. Quando fu su di lui l'ex mercenario si rialzò, aiutandosi con la lama della sciabola come fosse un bastone.

Sapeva chi lo aveva attaccato, ma per un attimo, il tempo di riprendersi dalla sorpresa, ebbe l'impressione che quella figura avvolta nel mantello fosse Moon Knight.

Un' allucinazione o un barlume di lucidità che sfidava le tenebre negative che si addensavano nella sua mente? Un messaggio inascoltato che durò il tempo di un brivido profondo.

Con una risata isterica e un applauso di scherno la sua parte oscura tornò in cabina di regia.

-Da quanto tempo volevi farlo? Prendere il mio costume intendo. I sostituti degli eroi sono all'ultima moda, ma io sono all'antica e preferisco riprendermi quanto è mio, dal tuo cadavere.

La figura mosse il mantello bianco scoprendo il suo costume fai da te. Il cappuccio le copriva la parte superiore del volto, il viso di Marlene. 

In basso una cintura con dei frammenti di mezzelune e proiettili stringeva il vestito da sera.

L'aveva strappato per indossare dei pantaloni di cuoio e kevlar.

L'argento dell'abito elegante si fondeva con il bianco metallico dei pezzi di costume.

Spector alzò la spada e ora la lama misurava lo spazio che lo separava da Marlene.

-Marc, non deve finire così.- Marlene prese il bastone con entrambe le mani e tirò in direzioni opposte allungandolo.

-Ho prolungato fin troppo l'agonia del nostro rapporto.

Marc si mise nella posizione dello spadaccino provetto. Il sangue sul viso si era rappreso e sotto le luci bianche della base sotterranea emergeva più del volto stesso. Era come se ormai ci fosse solo il teschio.

Marlene bloccò il primo affondo con il bastone. Non ebbe però la prontezza necessaria a respingerlo e Marc con un colpo di sciabola la disarmò.

-Il piede non mi fa più male, l'energia dentro di me mi ha curato.

Era così, della ferita rimaneva solo la chiazza sul mocassino. Marc si stava trasformando completamente, le mani non erano più venate di nero ma questo le ricopriva come un velo di inchiostro.

Marlene staccò dalla cintola un mezzo dardo e lo lanciò. Marc si mosse di lato e il proiettile lo schivò. Lui lo vide passargli di fianco alla guancia e fu come se il suo sguardo lo congelasse nel momento in cui era più vicino. La velocità tornò normale e il proiettile finì la sua corsa contro il metallo che rivestiva le pareti della base.

-Avresti mai pensato che tutti gli insegnamenti nelle arti marziali, nel corpo a corpo e nell'usare ogni tipo di arma ti sarebbero serviti contro di me, contro chi pensavi di amare più di te stessa?

Non eri disposta a dare la vita per me?

-Marc devi combattere chi ti sta tenendo sotto scacco, la tua mente non è più tua. Non te ne rendi conto ma ti hanno infettato, guardati le mani... sono nere.

-Come la mia anima Marlene. Sono stato uno stupido a pensare di poter fare ammenda delle mie colpe, di rinnegare ciò che sono stato. La verità è che il costume bianco doveva rappresentare il mio obiettivo, la mia meta, la purezza che pensavo di poter raggiungere. Non avrai mai creduto davvero che lo indossassi perché così i criminali mi avrebbero temuto. Insomma non era credibile se avessi voluto quell'effetto mi sarei vestito di nero, come un pipistrello. Non era credibile come tutte le menzogne che mi sono costruito intorno cercando di sfuggire alla verità.- alzò la sciabola e con la lama si accarezzò la guancia -la verità è che sono più simile ai miei nemici che agli eroi con cui ho combattuto. Non sono Moon Knight, sono Bushman.

Sembrava il discorso di un uomo senza più speranza, votato alla distruzione perché incapace di costruire qualcosa di buono. Non era così, in quelle parole, Marlene comprese che la forza che comandava Marc stava perdendo la presa.

-Non sei nessuno dei due, sei Marc Spector. Il mio Marc Spector.

Marlene alzò le braccia, come ad arrendersi, lasciando cadere le armi che teneva tra le dita. Il tintinnio dell'adamantio sul metallo riempì di riverberi sonori la grande stanza e quando l'ultimo eco si spense la sciabola le accarezzava il petto e risaliva verso la sua gola.

-Ho capito il tuo gioco. Vuoi far leva sulla mia parte umana pensando stupidamente che sia stata sepolta dentro di me da qualcosa di malvagio. Non sono posseduto. Probabilmente mai in vita mia ho visto le cose con tanta lucidità. Le tenebre sono sempre state la mia luce e sono tornate a tracciare il mio cammino. Tu lo hai deviato, salvandomi la vita e io poi salvando la tua da Bushman.

Una stilla di sangue scivolò lungo il collo della donna per baciare la lama e poi cadere in terra. Marlene non si muoveva, rimaneva lì fissandolo negli occhi, sperando di scorgere in quei buchi neri una scintilla.

-Sei pronta Marlene. Una volta che la tua testa sarà rotolata in terra avrò la vita che doveva essere mia, riprenderò la strada interrotta.-  tirò indietro il braccio e la sciabola.

Marlene nell'attimo che avrebbe preceduto la sua morte, non vide la sua vita scorrergli addosso, ne vide il nulla, no i suoi occhi mentre la lama tagliava l'aria verso di lei inquadrarono un'ombra alle spalle del suo boia. Marc venne sbalzato in avanti, colpito alle spalle da una scarica di energia cremisi. La spada scivolò dalle sue dita. Marlene non riusciva a capire.

-Bisogna stare attenti con questi cosi, si rischia di farsi del male.- Frank Darabont raccolse la sciabola e poi controllò Marc.

-L'hai steso di brutto, dorme come un agnellino.

-Frank?- si accorse che non era solo, che l'ombra che l'aveva salvata era una sua recente conoscenza, una che per quanto l'avesse tolta da una brutta situazione, continuava ad infastidirla con la sua sola presenza.

-Satana.

-Non imbarazzarmi con i tuoi grazie per aver impedito un taglio più radicale di quello pessimo che hai fatto ai capelli.

Abbracciò Frank che si trovò trafitto dallo sguardo gelido della sua accompagnatrice.

-Come siete riusciti ad arrivare qui?

-Magia.- rispose Satana.

-Ma perché siete qui?- Marlene non riusciva a pensare a nulla nemmeno al fatto che stando lì avrebbero scoperto il segreto di Moon Knight.

-Io e Frank eravamo fuori assieme, stavamo passando una bella serata quando intrufolandomi nella sua testa non vedevo che pensieri rivolti a te, alla tua di serata e così l'ho portato dove ti trovavi. Devo ammettere che tu e il tuo uomo avete dei modi alquanto strani di passare i vostri appuntamenti. Non che mi dispiacciano... soprattutto la decapitazione, può essere molto erotica.

-Lo puoi curare?- chiese Marlene a Satana che si era avvicinata al corpo di Marc.

Satana mise due dita sulla fronte di Spector.

-Non sarà facile. La corruzione della sua anima è andata molto in profondità, dovrò scavare ed estirpare. Non sarà una cosa piacevole.- alzò la testa e i capelli rossi le caddero sulle spalle come lava -Propongo uno scambio di coppie. Io mi prendo Marc e voi due sfruttate il fatto di essere soli in un elegante villa fuori New York.

Per Satana sembrava tutto uno scherzo. Marlene non sapeva cosa dire. Avrebbe dovuto ringraziarla. Marc soffriva di un male oscuro e magico, una maledizione che poteva essere curata solo da chi, come Satana, conosceva la medicina adatta. Cercò conforto in Frank, in un'altro abbraccio, ma lo trovò con gli occhi che scrutavano la base segreta.

Capì che si stava rendendo conto di dove si trovava. Aveva scoperto la vera identità di Moon Knight.

-Ma questa è...

-Si ma adesso non è importante, ti spiegherò tutto con calma. Satana ha ragione, io non posso fare molto per Marc. Per quanto le parole suonino dolorose, ha bisogno di lei più che di me.

Satana alzò le mani e un dall'aria inizio a piovere un'energia rossa come quella esplosa dal colpo che investì Marc.

Marlene li guardò scomparire lentamente e prima che sparissero del tutto vide Satana sollevare la testa di Marc e stringerla a se insieme al corpo.

Davanti a lei era tornato il vuoto e faceva rima con quello che sentiva dentro.

Frank le mise una mano sulla spalla.

-Abbiamo molto da raccontarci.

-Si molto.

Disse solamente prima di avviarsi con Frank verso l'uscita dalla base. Camminando si slacciò il cappuccio mantello e se lo lasciò cadere alle spalle. 

 

Continua...   

 

Note

 

(1) Il riferimento è a Moon Knight v1 numero 8 pubblicato sul Punitore star comics n. 23

 

Prossimo numero.

 

Un nuovo Moon Knight, una difficile risalita dagli abissi della follia per Marc Spector. Bonus: Satana in versione infermiera sexy, la riunione della fondazione Arcana e si dipana il mistero dei ragazzi scomparsi.